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Le parenti di San Gennaro

La notizia più antica del miracolo di San Gennaro con l’improvvisa liquefazione del sangue del martire risale al 1389. Un culto, quello di San Gennaro, che ha sfidato i secoli ed è stato in egual modo tributato sia dal popolo che dai regnanti e che ancora oggi rappresenta una peculiarità del popolo napoletano e del suo particolare rapporto con la religione e la fede.  Durante l’anno gli appuntamenti dei fedeli con il patrono sono tre: il sabato precedente la prima domenica di maggio con riferimento alla traslazione del corpo nelle catacombe di Capodimonte; il 19 settembre data in cui cade l’anniversario della morte avvenuta nel 305; il 18 dicembre in ricordo della grazia ricevuta dalla città in occasione dell’eruzione del 1631. Ogni volta da secoli si replica il rituale e si rinnova il patto tra la città e il Santo con la speranza che il miracolo avvenga.

Un aspetto molto interessante del rito è rappresentato dal ruolo svolto dalle “parenti di San Gennaro”. Nei secoli scorsi con questo termine si identificava una sorta di confraternita nata e trasmessa per passaparola e formata da un gruppetto di una decina di vecchiette che abitavano a ridosso del Duomo tenute in grandissima considerazione in tutto il circondario. Quelle donne in realtà potevano essere considerate una sorta di “beghine”, termine con il quale si identificava un gruppo di pie donne, nubili o vedove, dedite alla preghiera che vivevano da sole o in piccoli gruppi ma che pronunciavano soltanto voti di ubbidienza e castità e per questo non considerate vere e proprie religiose.

Per una voce che si perdeva nella notte dei tempi la gente le riteneva imparentate con San Gennaro. Una parentela che, pur in mancanza di un albero genealogico, si era trasmessa nei secoli. Sull’origine di questa parentela vi sono varie teorie anche perché in questi casi tra la ricostruzione storica e la fantasia popolare spesso il confine è labile. In realtà con il passare del tempo il vincolo spirituale delle fedeli con il Santo si era materializzato a tal punto da assurgere al grado di parentela. Per alcuni l’unico vincolo di sangue sembra derivasse dal cognome di Januario e ciò bastava, a quante si chiamavano così, per sentirsi legittimamente imparentate con il santo.

Nel ‘500 invece si iniziò a parlare della pia donna che a Pozzuoli raccolse per prima il sangue del martire e che portò le due ampolle a Napoli per custodirle in luogo sacro. La donna si chiamava Eusebia ed era la nutrice di San Gennaro e per questo posta all’origine dell’albero genealogico. Al di là di qualsiasi ricostruzione storica o fantasiosa, le parenti formavano una società femminile che ricordava gli antichi riti pagani. Le donne napoletane, infatti, sin dai tempi più remoti erano praticamente insostituibili soprattutto durante la pratica dei culti della fecondità. La loro fama attraversò i confini e addirittura a Roma si decise che le Sacerdotesse del Tempio di Cerere dovessero essere esclusivamente di origine Campana.

In epoca cristiana molte di queste sacerdotesse entrarono a far parte di gruppi monastici portando con esse segreti iniziatici che con il passar del tempo e deformati dalla tradizione popolana, si trasformarono in superstizioni, malocchi e fatture. Ancora oggi le donne napoletane, pur senza rivendicare alcun grado di parentela con il Santo, svolgono un ruolo importante e irrinunciabile durante il rituale. Sedute come sempre nelle prime file a loro riservate, si fanno portatrici di una tradizione antica; esse sono testimoni di culti che hanno attraversato epoche e memoria storica di un rapporto di fede straordinario fatto di relazioni ambigue. Il rispetto si alterna all’aggressività,  le suppliche e le ingiurie si mescolano ad espressioni di cordoglio e di esultanza.

Sappiamo che il miracolo di San Gennaro non solo deve avvenire ma deve essere “bbuono”. Per avere un effetto positivo sulle sorti del popolo e della città, il sangue deve sciogliersi presto, possibilmente entro le dieci del mattino. Perché ciò avvenga il sostegno deve essere intenso e le preghiere devono seguire dei rituali precisi. Possiamo quindi affermare che questo gruppo di donne svolge un ruolo di supporto il cui scopo è quello di incoraggiare il Santo affinché faccia il miracolo. Le loro orazioni sono una sorta di raccomandazione che rafforza e sostiene le richieste dei fedeli.

In una prima fase, mentre il prelato veste il busto d’argento di San Gennaro, la preghiera recita:

…“SAN GENNÀ NUJE TE RINGRAZIAMME ‘E QUANTE GRAZIE E BENEFICIE NCE ‘HAI FATTE, E QUANTE NCE N’HAI DA FA.

SANTU BELLO, VIVA VIVA LU PRUTETTORE, VIVA VIVA SAN GENNARO CHE DE NAPULE È LU PADRONE”….

Poi con un suono basso e continuo accompagnano la cerimonia di preparazione con l’uscita della teca che raccoglie le ampolle dalla cassaforte. Una volta iniziata la funzione le “parenti” alternano momenti di preghiera recitata a canti rimati scandendo in successione lamenti funebri e urla di tripudio. Per due volte di seguito recitano una sorta di scongiuro magico:

…”PE’ LU SANGHE E PE’ LA TESTA LIBERACE D’E TEMPESTE!

PE’ LA TESTA E PE’ LU SANGHE LIBERACE A TUTTE QUANTE!

SAN GENNARO MIO FA TU CA IO NUN NE POZZO PROPRIO CCHIU’

LA SPERANZA E LA MIA FEDE TUTTA STA RIPOSTA IN TE.

TU ‘O VIDE E TU ‘O SSAJE ARRIMMIERECE CHISTI GUAJE.

SAN GENNARO E’ GLURIUSO!

SAN GENNARO E’ MIRACULUSO! “….

Quando il miracolo tarda a venire e il sangue non si scioglie, si avverte un mormorio di incredulità  seguito  da preghiere e  invocazioni alla SS. Trinità e a Maria ed infine si recita per sette volte di seguito “Io credo in Dio Padre Onnipotente…” Quando la tensione emotiva raggiunge l’apice e l’attesa si trasforma in ansia allora si invoca S. Gennaro supplicandolo di pregare a sua volta come ulteriore intercessione verso Dio. In qualche occasione si arriva all’invettiva nei riguardi del Santo e si possono udire esortazioni del tipo : “San Gennàaaa! Facci ‘a grazia! Faccia giaaallaa fa ‘o miracolo!” Faccia ‘ngialluta è infatti il soprannome con il quale è chiamato il Santo con riferimento alla sua solarità. Una volta avvenuto il miracolo le campane del Duomo annunciano alla città che “’O sanghe s’è squagliat!!!!” !

Le cantilene delle parenti sono dunque da considerare parte del patrimonio etnico e culturale di questa terra. Un patrimonio genuino che si esprime attraverso espressioni semplici e confidenziali ma che nel contempo sono ricche di contenuto teologico. Sono dunque “Voci della lingua napoletana” e per questo da non considerare come prodotto della sotto cultura.

 

 

 

 

 

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