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Castel dell’Ovo: il mito e la storia

Castel dell’Ovo è il più antico castello di Napoli e grazie all’imponente presenza nel golfo è una delle icone napoletane più famose nel mondo e rappresenta una perfetta sintesi pietra tufacea e il mare, gli elementi connaturati della città.

Sin dalle origini è stato un luogo di grandi significati, mitici, magici e religiosi.

Il Castello sorge, infatti, sull’isolotto di Megaride, il luogo dove si arenò il corpo di Parthenope, la sirena che dopo aver tentato di sedurre Ulisse col canto, si lasciò morire per non esserci riuscita. L’episodio appartiene al mito che presiede alla stessa fondazione della città di Napoli. Infatti, i primi abitanti edificarono il sepolcro della sirena sull’isolotto di Megaris presso il quale poi i coloni greci fondarono la città originaria che portava il nome di Parthenope.

Nel I a.C. il patrizio Lucio Licinio Lucullo, politico e generale romano, acquistò l’intera zona comprensiva del vicino Monte Echia per edificarvi una vera e propria cittadella dalle incredibili dimensioni dotata di ville, terme, portici, orti e immense piscine. Lucullo vi organizzava i raffinati e ricchi banchetti passati alla storia come “pranzi luculliani”. Purtroppo della sontuosa villa non rimane che qualche tronco di colonna, dodici per l’esattezza, utilizzati come sostegno di volta nelle sale del castello.

Il Castrum Lucullanum fu dotato anche di una ricca biblioteca di papiri considerata una delle più importanti allora conosciute e ben presto diventò un centro culturale attirando famosi letterati, filosofi e poeti. Primo fra tutti il poeta latino Virgilio al quale il Castello legherà per sempre il suo destino.

La leggenda narra che Virgilio vi avrebbe nascosto in un luogo remoto un uovo incantato chiuso in una gabbia. L’uovo avrebbe avuto, dunque, una funzione di talismano: finché non si fosse rotto la città e il castello sarebbero stati protetti da ogni tipo di calamità, ma se qualcosa fosse accaduto all’uovo, guai a Napoli e ai Napoletani.

Il mito di Virgilio e dell’uovo talismano ebbe una straordinaria diffusione nel medioevo. Nel 1370, infatti, una tempesta marina colpì duramente Napoli e anche il castello rimase gravemente danneggiato. Le celle furono inondate e immediata si sparse la voce che il famoso uovo si fosse rotto. Fu tale il panico nella popolazione che, oltre a restaurare il castello, la regina Giovanna I ordinò di rimpiazzare l’uovo per evitare nuove sciagure.

Per secoli l’isolotto di Megaris fu sede di una fervida vita monastica.  Dapprima vi sbarcò la vergine Patrizia, nipote dell’imperatore d’Oriente che poi diventerà una delle sante patrone di Napoli. Spinta da un naufragio sull’isolotto di Megaride vi rimase in eremitaggio con alcune compagne  fino alla morte. Sono molto interessanti le similitudini fra la sirena Parthenope e Santa Patrizia: il drammatico viaggio per mare, la verginità e la morte sull’isolotto.

Divenne poi rifugio di eremiti e monaci alchimisti che nel segreto delle grotte naturali compivano ricerche ed esperimenti. Alla fine del V secolo si insediarono i monaci basiliani che vivevano nei cosiddetti “romitori”, grotte di tufo unite tra loro da un fitto percorso di cunicoli. I monaci crearono anche un importante scriptorium, probabilmente anche grazie a quanto restava della biblioteca luculliana. A quel periodo risale anche la costruzione della Chiesa del S.S. Salvatore che, sebbene più volte modificata, conserva ancora resti di affreschi tardo bizantini.

Dopo la distruzione del nucleo originario causata dalle incursioni Saracene, il Castello ha subito molteplici trasformazioni mutando col tempo aspetto e funzioni e determinando soprattutto il cambiamento dei suoi abitanti.

Nel 1140 Re Ruggero ricostruì il Castello che sotto le dinastie Normanne e Sveve fu utilizzato come residenza reale mentre divenne a lungo oggetto di contesa tra Angioini ed Aragonesi subendo gravi danni e continui rifacimenti che causarono la perdita definitiva dell’originaria linea medioevale.

Successivamente durante il periodo del Vicereame Spagnolo le funzioni mutarono ancora e il Castello fu adibito ad avamposto militare con la costruzione di un fortino detto “Ramaglietto” per difenderlo dalle flotte nemiche. Furono, inoltre, impiantati sull’isolotto dei mulini a vento collegati ad una macina per il grano collocata nella pancia del castello.

Con l’avvento della dinastia Borbonica Castel dell’Ovo rimase estraneo al contesto urbano e vi si introdussero impianti tecnici non strettamente difensivi come una stazione telegrafica con scopi commerciali di supporto all’imponente flotta mercantile.

Nel corso della sua lunga esistenza Castel dell’Ovo è stato utilizzato anche come luogo di prigionia e ha “ospitato” illustri personaggi della storia come l’ultimo imperatore romano d’occidente Romolo Augustolo, Corradino di Svevia, il filosofo Tommaso Campanella, Carlo Poerio, Francesco De Sanctis e Luigi Settembrini. Vi nacque, inoltre, Carlo Martello e più tardi accolse le spoglie di Re Alfonso d’Aragona.

Dopo l’Unità d’Italia, nell’ambito del progetto di “Risanamento” che modificò per sempre il volto della città si decise per l’abbattimento del castello. Per fortuna l’idea non fu attuata ma l’edificio rimase a lungo in stato di abbandono fino al 1975, anno in cui si avviò un imponente progetto di restauro al fine di restituire dignità e fruibilità a uno dei luoghi più importanti della storia di Napoli.

Oggi il Castel dell’Ovo è visitabile e dalle sue terrazze si gode di una vista incantevole del golfo di Napoli e un panorama unico della città. Se per i turisti è una tappa fondamentale, per i napoletani la visita del Castello diventa quasi un “obbligo morale”, perché rappresenta un ritorno alle origini più remote laddove, tra atmosfere suggestive, ritrovare il più profondo senso di appartenenza.

Nell’edificio si svolgono mostre, convegni e manifestazioni culturali ed è anche sede della sezione regionale dell’Istituto Italiano dei Castelli nonché del Museo di Etnopreistoria del CAI che raccoglie reperti di varie aree del mondo secondo un iter cronologico che va da 700.000 a 3000 anni fa.

Michele Carneglia

 

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